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STILE DI VITA

 

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Noi nazareni vogliamo vivere lo spirito della vita di Nazaret ispirandoci a Gesù, Maria e Giuseppe, i tre primi nazareni, che rappresentano il perenne punto di riferimento storico, spirituale e apostolico.

Non partiamo da considerazioni teoriche o elucubrazioni dottrinali, bensì da un’esperienza di vita che, essendo quella del Figlio di Dio in una famiglia umana, possiede il valore paradigmatico per ogni esperienza di vita familiare, ecclesiale, comunitaria ed evangelizzatrice.

Nel continuo avvicendarsi delle culture che vanno succedendosi nella storia, l’elemento perenne che rimane sempre presente con invariata validità di fattore strutturante di ogni autentica vita di discepoli del Signore Gesù è la nazarenità.

Essa rappresenta infatti il modo di essere – agire- vivere – amare di Gesù, il Nazareno, tradotto in vita di una persona umana privilegiata e unica, in quanto Immacolata, Maria, la Nazarena; e condiviso in pienezza da Giuseppe, della stirpe di Davide, della nostra stessa razza: l’umanità peccatrice e redenta.

 

Leggiamo nel Vangelo secondo Matteo: 

Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese

d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno» (Mt 2, 19-23. Cfr. nota della Bibbia di Gerusalemme).

 

· Essere discepoli di Gesù vuol dire “stare con Gesù, il Nazareno” (Mt 26, 71).

· Gesù era conosciuto come “Gesù di Nazaret” (Mc 1, 24).

· “Quando ebbero fatto tutto secondo la legge del Signore, ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret” (Lc 2, 39).

· “Scese con loro e tornò a Nazaret ed era sottomesso ad essi” (Lc 2, 51).

· “E venne a Nazaret, dove era stato allevato” (Lc 4, 16).

· “Filippo incontra Natanaele e gli dice: «Colui di cui scrissero Mosè nella legge e i Profeti, abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret” (Gv 1, 45).

 
Gesù è il Nazareno

L’”essere nazareno” di Gesù ti fa sentire il sapore storico della vita del Verbo fatto carne, fatto uomo: senti quasi il sapore dell’aria di Galilea, con il profumo delle sue vigne e dei suoi olivi; te lo rappresenta nel suo camminare sotto il sole ardente, attraverso le città e le borgate della Palestina, sulle rive del lago di Tiberiade. Questo Gesù che adesso chiama i suoi discepoli e proclama la Magna Carta delle beatitudini, che moltiplica i pani, ridà la vista ai ciechi, risuscita i morti e perdona i peccati, è lo stesso che visse tanti anni nella casa di Nazaret, nella bottega di Giuseppe, il falegname. Senti nella nazarenità di Gesù il pulsare della vita che irrompe umile e vibrante, forte a appassionata, umana e divina, in questo Figlio che il Padre ha regalato al mondo per amore a noi, uomini di tutti i tempi.

La nazarenità comprende le tre tappe della vita di Gesù:

· la sua vita terrena: Gesù è quello di Nazaret (cfr. Mt 2, 19-23; Mt 26,71; Mc 1,24; Lc 2,39; Lc 2,51; Lc 4,16; Gv 1,45);

· la sua morte: “Gesù Nazareno, re dei giudei” (Gv 19,19);

· la sua risurrezione: “Gesù. il Nazareno, Dio lo risuscitò” (Cfr. At. 2,22-24; At. 3,6: il Risorto è il Nazareno).

La nazarenità, quindi, ha come contenuto la perenne e infinita vita del Verbo e il suo Amore che, nell’incarnazione redentrice, unifica tutte le dimensioni della vita umana che sono fondamentalmente tre:

· la creazione, con la propria “secolarità”

· la redenzione, con la propria “capitalità”

· la trasfigurazione, con la propria “signoria”.

 

“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb. 13,8).

 

Nella nazarenità troviamo, quindi, l’unione armonica di secolarità-capitalità-trasfigurazione, gli elementi che costituiscono la struttura della vita del mondo, in quel processo storico di ricapitolazione attraverso il quale Cristo offre tutto l’universo al Padre.

I nazareni assumiamo la nazarenità come colonna vertebrale della nostra spiritualità di discepoli di Cristo Gesù il Nazareno. In Lui ci ispiriamo per  vivere il progetto unitario della spiritualità cristiana, che vuole assumere le sfide della storia e della vita umana, che si affaccia timidamente e con speranza al terzo millennio dell’era cristiana, incorporando così alla nostra vita, la spiritualità della Nuova Evangelizzazione, missione unica della Chiesa, sacramento universale di salvezza per il mondo di oggi e di sempre.

 

In questo contesto, quindi, approfondiremo lo STILE DI VITA della FRATERNITÀ CONTEMPLATIVA Maria di Nazaret analizzando:

 

I.  nella linea della secolarità della creazione

1. l’interiorità naturale

2. lo stile familiare nel servizio

 

II. nella linea della capitalità della redenzione:

1. la carità contagiosa

2. la laboriosità instancabile

 

III. nella linea della trasfigurazione dell’escatologia:

1. la gioia costante e serena

2. lo spirito di adorazione

 

LO STILE DI VITA DELLA FRATERNITA' CONTEMPLATIVA MARIA DI NAZARET

È evidente che lo stile di vita è direttamente relazionato all’identità carismatica della Fraternità Contemplativa e che da questa dipende come l’effetto dalla propria causa. Cercheremo di delineare alcune caratteristiche che evidenzino aspetti che vogliamo potenziare nei distinti stati di vita, nell’individualità personale di ciascun nazareno/a e di tutta la Fraternità, come Associazione e Movimento apostolico di spiritualità cristiana, nel contesto della contemplazione.

 

1. INTERIORITÀ NATURALE.

 

Ogni nazareno e nazarena ha il proprio universo interiore nel quale si trova da solo con Dio nella propria identità personale, caratterizzata dall’originalità che gli viene dall’atto creatore di Dio. Nell’intimo della mia persona, Dio stabilisce la sua dimora e vive con me, mi apre al suo proprio mistero, rendendomi partecipe della sua comunione trinitaria. Mi tratta come amico, come figlio, e si compiace in me nella misura in cui vede nel mio volto l’immagine del suo Figlio Gesù. Lui è sempre alla mia porta. Bussa. Vuole entrare. Quando gli apro, entra nella mia casa e cena con me ed io con Lui. Nella frazione del pane, nella comunione pasquale, mi fa gustare le profondità di Dio.

 

1.1. INTERIORITÀ

L’interiorità è la vitalità integrale di tutta la mia persona in quanto mi lascio possedere docilmente dalla presenza vera, reale e personale di Gesù Risorto che proprio adesso, qui, in questo istante, vive ed agisce in me, attraverso tutte le mie azioni, gli impulsi di vita, i battiti del mio cuore, nella misura in cui ciò che sto facendo, pensando e vivendo, corrisponde a ciò che Dio vuole da me. 

È l’esperienza di quanto ci ha rivelato l’apostolo Paolo attraverso la propria esperienza: “Non sono più io che vivo è Cristo che vive in me”. Questa interiorità mi deve portare a poter dire a poco a poco, perché lo sperimento: non sono più io che agisco, è Cristo che agisce in me.

Il principale nemico dell’interiorità è la superficialità. Il mistero viene dalle viscere di Dio. Chi rimane nella superficie della vita non potrà immergersi nelle abissali profondità del Dio - Amore. La Parola di Dio, vissuta intensamente ed approfondita nella Lectio Divina, sempre più familiarmente, è strada sicura ed infallibile per crescere in interiorità.

 

1.2 NATURALE

Naturale significa che è l’espressione semplice, logica e spontanea di una reale consapevolezza che si traduce in esperienza di vita. Questo è possibile quando la contemplazione nazarena diventa a poco a poco familiare al mio essere.

Spontaneamente allora, la mia attuale esperienza della relazione dinamica di comunione trinitaria incomincia ad impregnare il mio sguardo, il mio tono di voce, il mio modo di muovermi, di gesticolare. In una parola: tutto il mio modo di fare.

Don Bosco diceva ai suoi salesiani: «La modestia nel parlare, nel guardare e camminare in casa e fuori casa, deve brillare in tal modo nei Soci, che in questo si distingueranno particolarmente dagli altri» (Costituzioni SDB, 151).

Don Bosco ha collocato questo articolo nel capitolo XII sulle pratiche di pietà. Questo fa capire al nazareno che il modo di fare esterno nella vita deve essere il riflesso dell’unione con Dio fatta crescere nei momenti di preghiera.

Sappiamo come e quanto don Bosco rifuggisse da ogni artificiosità e da ogni atteggiamento affettato. Il suo modo di fare era l’esteriorizzazione del suo costante “essere in Dio in spirito di unione” come sostenne Pio XI che conobbe personalmente don Bosco quando, da giovane prete rimase una settimana all’Oratorio vivendo con lui.

Sappiamo anche che in don Bosco ciò che è naturale era diventato soprannaturale e ciò che è soprannaturale era diventato naturale; tutto come frutto della sua costante unione con Dio. Mediante la contemplazione salesiana – donboscana noi nazareni aspiriamo a fare del quotidiano della nostra vita esperienza naturale della vita del Signore Risorto, la cui meta è vivere come Maria a Nazaret l’unione con Dio attraverso e nel quotidiano della vita.

 

2. SERVIZIALITA' FAMILIARE

 

La contemplazione nazarena crea attorno ai nazareni calore di casa, sensazione di famiglia, come quella che si viveva a Valdocco con don Bosco. Ogni nazareno e nazarena dà il volto alla Fraternità. Questo calore di famiglia è creato dallo stesso Gesù, il Nazareno, che poi s’irradia nella vita di tutti i nazareni. La presenza viva di Maria, dà a questo clima familiare la tenerezza della Madre che tutto prevede e dispone con delicatezza di donna. Ci sono alcuni atteggiamenti che incarnano questa contemplazione nazarena con una peculiarità che deve distinguere ogni nazareno e nazarena in tutti gli stati di vita:

 

2.1. LO SPIRITO DI SERVIZIO

Lo spirito di servizio mi mette in sintonia con la Vergine della Visitazione. Maria, perché piena della grazia dello Spirito Santo, si pone subito al servizio di chi ha bisogno di Lei. In fretta va ad aiutare la cugina anziana, considerata sterile, che è già nel suo sesto mese. Ci troviamo di nuovo con un’attività motivata da un incontro speciale di comunione con Dio (nell’Annunciazione Maria, piena di grazia, per opera dello Spirito diventa la Madre di Gesù) che, a sua volta, si fa servizio che crea comunione di famiglia in fraternità.

Questo spirito di servizio diventa tanto concreto e quotidianamente semplice che mi rendo conto di ciò di cui ha bisogno il fratello prima ancora di essere sollecitato. Certamente questo atteggiamento non nasce spontaneamente, né s’improvvisa, né si esaurisce in un gesto isolato.

Gesù, il Maestro e Signore che lava i piedi ai discepoli è l’icona del servizio quotidiano, che la contemplazione nazarena prolunga nel tempo e nello spazio per mezzo di noi nazareni.

Il criterio per poter affermare che possiedo lo spirito di servizio è il fatto che considero, se non spontaneamente e sensibilmente, al meno grazie alla fede, un privilegio il poter servire gli altri, vedendo in ciascuno di loro il Signore Gesù. “Lo avete fatto a me” (Mt 25, 40).

Allontanerò quindi da me, la ribellione dell’uomo che agisce secondo la carne e che mi fa pensare o brontolare: “io non sono il servo di nessuno”. Gesù ci ha servito fino a dare la Sua vita per noi, per ciascuno. “Mi ha amato e si è consegnato per me”. E come se fosse poco, Gesù ci indica il modo con cui si è consegnato: “Ho desiderato ardentemente”.

 

2.2. FAMILIARE

Indica il modo di servire secondo lo stile nazareno. Lo spirito di servizio ha per i nazareni uno stile particolare: è quello della familiarità. È il nostro modo di servire. Oltre alle connotazioni anteriori, si mettono in evidenza i tratti di chi sempre lascia il meglio agli altri, e se si deve scegliere, che gli altri scelgano per primi.

Il termine “familiare” sta ad indicare anche, la preventività, nel miglior stile di Maria che a Cana si rende conto che senza vino la festa di nozze sarebbe stata un disastro. Prevede e provvede, e l’acqua si cambia in vino. Costruisce fraternità chi umilmente e con gioia prepara per i fratelli le condizioni affinché gli altri possano sentirsi comodi come a casa propria, da un caffè offerto a una stanza spazzata, dalla liturgia preparata a dei servizi igienici disinfettati, da una sala per riunioni sistemata alla casa pulita, dalla cappellina ordinata, una visita fatta, un pasto condiviso, una notizia comunicata, una sostituzione suggerita, una commissione fatta.

 

3. CARITÀ CONTAGIOSA

 

Non c’è nessuno che non sia stato fatto per amore e per amare. Tutti esistiamo a causa di una concreta relazione d’amore che Dio stabilisce con ognuno di noi. È questo amore che ci mantiene in vita. Quando Dio – Amore in Gesù si è fatto carne, corpo, uomo, l’amore si è incarnato in carità pastorale, perché Gesù – Dio , si è fatto Buon Pastore.

 

3.1. LA CARITÀ PASTORALE

 

La contemplazione nazarena è la carità pastorale di Gesù il Buon Pastore che continua ad amare pascolando le proprie pecore che siamo noi.

Per noi nazareni il “Da mihi animas” di don Bosco è la migliore inculturazione di questo amore di Cristo. Sulla scia del Santo di Valdocco e guardando al Buon Pastore, il nazareno è paziente, servizievole, non è invidioso, non si vanta, non s’inorgoglisce, è generoso, non cerca il proprio interesse, non s’irrita, non prende in considerazione il male, non si rallegra dell’ingiustizia, si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (Cfr. 1Cor 13, 7).

Dove c’è divisione il nazareno si sforza di ricostruire la comunione. Non si stanca di perdonare, di essere misericordioso e di ricominciare sempre da capo. Non si chiude a nessuno. Le porte del suo cuore sono sempre aperte. Vive sempre nella luce della verità per crescere nella carità.

 

3.2. la carità diventa CONTAGIOSA

La carità diventa così contagiosa perché i nazareni si astengono da ogni parola di mormorazione e non si lasciano prendere dalla superbia che li porta ad interpretare male le azioni virtuose degli altri o a dire che sono state fatte con cattiva intenzione. Seguendo il saggio consiglio di don Bosco, non riferiscono ai fratelli o alle sorelle ciò che di male abbiano detto di loro, perché da questo nascono, a volte, risentimenti o rancori che durano mesi o anni. Se ascoltano qualcosa contro un fratello, fanno ciò che dice lo Spirito Santo: hai sentito qualcosa contro il tuo prossimo? Muoia in te. Cercano di essere cortesi e affabili con tutti.

La mansuetudine e la misericordia ci avvicinano molto all’amore di Cristo Buon Pastore. Nelle conversazioni sono dolci con tutti, specialmente con coloro da cui sono stati offesi o che al presente non li guardano di buon occhio. Non fanno mai scherzi che possano offendere o dispiacere al prossimo. Cercano di moderare l’ira, così facile ad infiammarsi in certi casi di opposizione. Si guardano dal dire parole che dispiacciano, ancor di più dall’usare modi arroganti e rozzi, perché a volte spiacciono più questi modi che non le parole oltraggiose. Quando qualcuno che li ha offesi viene a chiedere perdono, si guardano bene dal riceverlo con il broncio o dal rispondere con parole fredde o cariche di risentimento. Manifestano invece affetto, cortesia e benevolenza. Sapendo che l’atto più alto di carità è l’avere zelo del bene spirituale del prossimo, fanno uso della correzione fraterna e della revisione di vita con sincerità e discrezione, con prudenza e sapienza, con umiltà, tenerezza e pace.

 

4. LABORIOSITÀ INSTANCABILE

Il testo di Giovanni: “Il Padre mio opera sempre e anch'io opero» (Gv5,17), apre orizzonti insospettati alla spiritualità dell’azione. Conosciamo l’insistenza di don Bosco sul bisogno di un lavoro intenso per l’estensione del Regno di Dio: “non vi raccomando penitenze né discipline, ma lavoro, lavoro, lavoro”. Ciò che noi nazareni vogliamo sottolineare è la motivazione spirituale-contemplativa che ci porta alle stesse conclusioni operative di don Bosco:  la nostra attività, le nostre opere, in quanto facciamo la volontà di Dio e siamo mossi dalla carità pastorale, sono la corporeità, la materia dell’operare reale, personale e perciò sacramentale di Gesù il Signore. Gesù agisce sempre: i nazareni operiamo instancabilmente.

È importante mettere in luce, in questo operare nazareno, alcune caratteristiche che da una parte collocano l’agire nel contesto della spiritualità del lavoro, tanto promossa in questi ultimi tempi, e dall’altra risaltano ciò che lo fa nazareno.

 

4.1. L’AGIRE UMANO NEL CONTESTO DELLA SPIRITUALITÀ DEL LAVORO

La contemplazione nazarena si muove nell’ambito del lavoro umano. è lì dove noi nazareni facciamo vera esperienza di unione con Dio. Perciò assumiamo il dinamismo antropologico e salvifico del lavoro come base insostituibile per un’autentica e reale esperienza contemplativa.

Non confiniamo pertanto la nostra esperienza contemplativa semplicemente o esclusivamente nell’intimo del nostro mondo interiore affettivo o intenzionale. La nostra contemplazione è fatta di piccone e badile, di patate e padelle, di parlamenti e sindacati, di porti e mercati, di negozi e ambulatori, di classi e di scope, di piatti e di computer, di aerei e carriole, di acciaio e di cemento armato, di banche e cooperative, di voli spaziali e di passeggiate per i monti… È lì dove sperimentiamo il vibrare dell’iniziativa creatrice dell’uomo che fa continuare così l’opera creatrice, redentrice e trasfiguratrice del Padre, per Cristo nello Spirito. È lì dove si sentono solidali con gli uomini e le donne del mondo che lottano e soffrono, godono e amano, vivono e muoiono.

I nazareni consideriamo la promozione umana impregnata di lavoro, come le note dello spartito la cui conoscenza rende possibile la sinfonia del Regno che l’uomo crea ed esegue in tutto l’universo.

 

4.2. L’AGIRE NAZARENO NEL CONTESTO DELLA CONTEMPLAZIONE CRISTIANA-DONBOSCANA

4.2.1. L’intensità del dinamismo

“Ci riposeremo in paradiso”, diceva paradossalmente don Bosco. E le vacanze? Per lui le vacanze consistevano “nel cambiare occupazione”. Una prima caratteristica dell’attività del nazareno è l’intensità del dinamismo. Il nazareno si sente spinto dal fuoco della Pasqua che corre nelle sue vene: la vita 

del nazareno è la stessa vita di Cristo Gesù il Risorto; il Suo sangue è stato trasfigurato dallo Spirito Santo che ha preso possesso del Suo corpo. Ecco perché San Paolo può affermare: “Il Signore è lo Spirito”  (2Cor 3, 17).

4.2.2. Gioia e pace

Una seconda caratteristica che distingue l’attività dei nazareni è la gioia interiore che si manifesta nella pace esteriore. È sempre San Paolo a dire: “esulto di gioia in ogni tribolazione”.

Non c’è dubbio che il lavoro causa la sofferenza della stanchezza e la constatazione di ogni tipo di limite. Anche lì si sente risuonare la parola liberatrice e cristificante di Dio, che dice: “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).

4.2.3. Mistica in azione

Una terza caratteristica che deve brillare nell’agire nazareno è la mistica in azione. Cioè, si deve percepire nell’agire di noi nazareni, l’amore gratuito e gratificante dello stesso Gesù che continua ad amare donandosi nell’azione e nella parola del nazareno, nel suo gesto e nel suo sorriso, nel suo ascoltare e nel suo soffrire, nella sua gioia, nel suo silenzio, nel dono di tutto se stesso. Il nazareno quindi, evita tutto ciò che sa di passività fannullona e non si concede più riposo del necessario. è anche serenamente scrupoloso nell’uso del tempo, preoccupandosi di non perderlo.

Il suo lavoro, perciò, fatto con intensità e dinamismo, con gioia e pace e con un’autentica mistica attiva, costituisce la piattaforma di base indispensabile della sua solidarietà con i poveri del mondo, incominciando da quelli che sono al suo fianco e che hanno bisogno di una presenza concreta fatta pane di comunione nella condivisione e partecipazione alle loro necessità, per affrontare le esigenze della loro integrale promozione umana e cristiana.

 

5. GIOIA COSTANTE SERENA

 

I nazareni vivono gioiosi perché si sentono immersi nella realtà definitiva della Pasqua di Gesù, il Nazareno. Si sentono già partecipi di essa e anche nei momenti di insensibilità e buio non si lasciano prendere da sentimenti di pessimismo o da depressioni d’animo; al contrario, fanno risuonare nei loro cuori le parole dell’apostolo Paolo: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi”, e gioiscono nello sperimentare la presenza di Gesù che rende possibile questa gioia: “Il Signore è vicino” (Fil 4, 5).

 

5.1. GIOIA COSTANTE

 

La gioia è costante perché non dipende dalle cambianti situazioni esterne, ma dalla certezza della fede nella presenza di Gesù - Pasqua sperimentato nel dinamismo delle virtù teologali della fede - speranza – carità: il battesimo ci ha trasformati davvero, dal di dentro, nel nostro essere.

Siamo definitivamente figli nel Figlio. Niente e nessuno potrà mai toglierci l’eredità che Cristo ci lasciò di essere creature nuove, perché il Padre, ricco di misericordia, è sempre disposto a ricostruire l’alleanza d'amore che noi, per debolezza, possiamo rompere.

Il “settanta volte sette” che Gesù chiede a Pietro ci assicura che nessun peccato umano potrà mai esaurire l’infinita capacità di perdono del Padre. Il Suo costante amore è la fonte inesauribile della nostra costante gioia.

 

5.2. GIOIA SERENA

Per il fatto di essere contemplativi, “gustiamo le profondità di Dio”. Chi ha  fatto l’esperienza di “gustare” Dio non può accontentarsi d’altri gusti che sono solo dei surrogati di felicità.

Il nostro modo di vivere necessariamente deve offrire la testimonianza di questa esperienza. Perciò noi nazareni non saremo mai grossolani, non assumeremo mai atteggiamenti volgari. Amanti dello scherzo, mai cercheremo il doppio senso. Irradieremo serenità con un sorriso che, ricco d’interiorità, sarà trasparenza di Cristo Risorto, raggiante di felicità perché è sempre con il Padre.

 

6. SPIRITO DI ADORAZIONE

 

“Sia che mangiate, sia che beviate, o che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 12, 31). I nazareni, trasformando ogni attività in preghiera, aspiriamo a fare della nostra vita una costante adorazione del Padre mediante la liturgia della vita.

 

6.1. LA VITA, LITURGIA DI ADORAZIONE DEL PADRE

Sappiamo che l’adorazione, come atteggiamento di culto a Dio, non si limita ad essere vicini al Santissimo esposto, bensì ad una relazione d’amore che li porta a compiere sempre la volontà del Padre in ogni momento.

Perciò i nazareni cerchiamo di creare costantemente nei nostri cuori l’atteggiamento filiale mediante il quale, ad ogni istante, possiamo dirigerci a Dio con le azioni trasformate in gemiti ineffabili, che ci fanno esclamare: “Abbà, Padre”. Non le nostre labbra, ma la nostra persona con tutte le sue dimensioni, mentre siamo in attività, adora il Padre in spirito e verità.

Questi sono gli adoratori che vuole il Signore: non è il Tempio di Gerusalemme il luogo di culto, ma il nuovo tempio dell’umanità di Gesù che si prolunga nell’umanità di ognuno di noi, fatti templi vivi dello Spirito Santo, che in noi e attraverso di noi, diventati nuove creature, continua ad esclamare: “benedetto sia Dio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo” (Ef 3, 1).

 

6.2. DALLA LITURGIA DELLE OPERE ALLA LITURGIA DELLE ORE

Per questo, i nazareni passano con spontaneità, naturalezza ed entusiasmo dalla liturgia delle opere alla liturgia delle ore, con il desiderio di raggiungere la pienezza dell’amore tutti i giorni, condividendo con Cristo e con i fratelli, la mensa del Signore nella quale, mediante la frazione del pane, Gesù, il Figlio di Dio, ci rende una cosa sola con Lui e con i fratelli, come Lui è uno con il Padre, per la lode e la gloria del Suo nome.

Agiamo, quindi, come coloro che hanno la consapevolezza di essere sempre realmente davanti a Dio in adorazione, con la vivacità e la naturalezza della vita che caratterizzava Maria a Nazaret a Betlemme, a Cana, a Nazaret, ai piedi della croce, nel Cenacolo e in cielo.

 

6.3. DALLA LITURGIA DELLA VITA ALLA PASQUA DEL SIGNORE

Lo stare in adorazione costante, vivendo come contemplativi in azione, suscita in noi, nazareni, il desiderio di condividere in pienezza con il Signore, la relazione di comunione che il Signore offre ininterrottamente nella Cena del banchetto Pasquale.

Avendo la possibilità di celebrare quotidianamente l’Eucaristia, non trascuriamo questo  privilegio di essere amati dallo stesso Signore: per mezzo della Sua umanità trasfigurata non solo appare nella sacramentalità del pane e del vino, ma si rende sperimentalmente presente nell’amore che lo Spirito comunica a tutto il suo corpo nella comunità riunita, condividendo l’unica Pasqua di comunione. Lo stesso Signore 

attirandoci a Lui, ci dona con il Suo Spirito la propria vita, facendoci assaporare le primizie della trasfigurazione finale.

Il segno dell’autenticità della celebrazione della Pasqua è il sentirci presi dalla potenza dello Spirito che seduce col fuoco della Pentecoste. È Lui che inietta in noi la voglia d’amare di più e meglio e di creare attorno a noi quello stesso spirito della “nuova Pentecoste” che non è altro che il modo di vivere di Cristo nella suprema novità della Trasfigurazione Pasquale, eredità di tutto il popolo di Dio e di tutto l’universo.

Il gemito della Sposa che dice allo Sposo: “vieni Signore Gesù” (Ap 22, 20), si traduce in un rinnovato entusiasmo per donare la propria vita nella Chiesa, per fare sempre più evangelicamente efficace per i poveri di Jahvé e per tutti gli uomini, la Nuova Evangelizzazione.

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